Ecco come l’autore di questo romanzo ne spiega il titolo, e il suo sottofondo morale, a chi non sa di pallacanestro, quello sport che, proprio quando l’autore lo praticava, anche in Italia si cominciava a chiamare solo basket perché era iniziata l’americanizzazione al risparmio della lingua italiana. In questo romanzo, invece, tutto il contrario: per nostra fortuna Vincenzo La Monica ha letto tanti libri quanti giorni ha vissuto e la sua lingua è gagliardamente letteraria, non ci risparmia aggettivi lussureggianti quanto un gancio-cielo di Jabbar e scarti del pensiero imprevedibili come una finta di corpo di Magic Johnson.
La Monica ci guida per una stagione cestistica lunga come un quinto anno di liceo. Decisivi, la prima e il secondo, per il futuro di un personaggio che sperimenta infine un plurimo e spaesante senso di mancanza, non raro lungo il crinale tra adolescenza e maturità: per un giovane dallo sguardo limpido, per una squadra di pallacanestro, per le speranze di una città del Far Sud. (Giuseppe Traina)